Nel 2020, secondo il rapporto annuale 2021 dell’Istat, le visite specialistiche di controllo o prime visite, finalizzate a impostare un eventuale piano diagnostico terapeutico si sono ridotte di quasi 1/3 (65% Basilicata, 53% Valle d’Aosta, 50% Marche). Per la Corte dei Conti anche i ricoveri per la gestione del paziente cronico con polimorbidità e fragilità (insufficienza renale, disturbi della nutrizione, psicosi, demenza, BPCO,… ) hanno visto una forte contrazione.
Tra il 2010 e il 2018 aumentano il numero di persone trattate in Assistenza Domiciliare Integrata ma si riducono le ore destinate a ciascun caso. Ad incidere sono anni di blocco del turnover del personale sanitario che sempre tra il 2010 e il 2018 ha comportato una riduzione di 42.000 unità, di cui 5.500 medici e circa 8.000 infermieri. I Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) rimangono spesso ancora sulla carta e le differenze sul territorio nazionale sono rilevanti, perché ad arrancare c’è anche l’informatizzazione del SSN con un Fascicolo Sanitario Elettronico che viaggia nelle Regioni a velocità troppo differente: si passa dal 100% di cittadini che in Sardegna hanno attivato il FSE (secondo trimestre 2021), al 99% in Lombardia, al 97% Prov. Trento, al 2% Molise, mentre quelli che lo hanno utilizzato negli ultimi 90 giorni (secondo trimestre 2021) oscillano dal 100% della Sardegna, all’88% dell’Emilia Romagna, 72% del Veneto e 6% della Sicilia.
E ancora. A pesare come un macigno sulla presa in carico delle persone con cronicità c’è la mancata attuazione, in molte Regioni, del Piano Nazionale della Cronicità approvato ormai quasi 5 anni fa. Recepito formalmente da tutte le Regioni, solo poche ne hanno messo a terra le attività previste e i sistemi di stratificazione della popolazione sono realtà solo il alcune Regioni, nonostante i finanziamenti dell’UE (Pon Gov).
L’analisi è di Tonino Aceti, Presidente di Salutequità, che ha snocciolato dati e avanzato proposte durante l’audizione presso l’Intergruppo parlamentare sulle Cronicità.
“Ora il SSN può e deve fare di più per le persone con cronicità – ha dichiarato Aceti – accelerando con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, trasformando in realtà e in tutte le Regioni le Case della Comunità, gli Ospedali di comunità e l’Adi. Per realizzare tutto questo bisogna però rilanciare il distretto sanitario, integrare sanità e sociale, varare gli standard dell’assistenza socio-sanitaria territoriale, gli standard del personale e definire il modello operativo di interazione/collaborazione tra i diversi professionisti sanitari (ruoli, funzioni, responsabilità,…), rispetto ai quali continua ad esserci anche il tema delle carenze. Contestualmente va rilanciato il Piano nazionale della cronicità che deve tornare all’ordine del giorno dei lavori ripresi sul Patto per la Salute tra Governo e Regioni, deve essere finanziato con risorse vincolate e attuato realmente in tutte le Regioni, riconoscendo la sua implementazione come un vero e proprio adempimento LEA.
Il Piano, infine, dovrebbe essere attualizzato con le innovazioni positive introdotte con i Decreti emergenziali (Infermiere famiglia, assistenti sociali, psicologi, telemedicina,..) – ha concluso Aceti – e dovrebbe riconoscere e affrontare anche altre patologie come la psoriasi, l’asma anche nell’adulto e in tutte le condizioni di gravità, la sclerosi multipla, la poliposi nasale,…”